Ho fatto un errore.
Ho letto tre libri polizieschi di seguito, di cui due di Giorgio Scerbanenco (il terzo di Carlotto), e ho aspettato qualche giorno prima di recensirli.
Perché l’ho fatto? Perché sono stata tanto pigra e ignava?
Io.
Io che vado in cucina a prendere una cosa e quando varco la soglia mi sono dimenticata perché sono lì, non dovrei fare questi erroracci.
Lungi da me dimenticarmi le storie! No, quello mai.
Diciamoci la verità però: appena terminato il libro, tutto è più forte perché io mi immedesimo, mi metto in testa di voler diventare investigatore privato, poliziotto oppure anche delinquente (se il libro è un poliziesco come in questo caso).
E adesso? Sì sì, il libro era stupendo e mi ricordo esattamente di che cosa parlava, i personaggi e tutto il resto…ma come la recupero quella sensazione?
Ok, proviamoci.
Il metodo che di solito con me funziona consiste nel rileggere i passaggi sottolineati, oppure di andare a vedere perché ho fatto le orecchie alle pagine (argh, che orrore, è un brutto vizio…giuro che lo faccio da poco!)
Era un’ora studiata [dalle 2 alle 3 del pomeriggio], la Milano che può dorme in casa, la Milano che non può, vinta dal caldo, dorme per le strade, sui tram, negli uffici, nelle fabbriche, un’ora più solitaria e discreta di qualunque momento della notte.
Vero. E geniale. Uno non ci pensa, ma d’estate è quella l’ora migliore per fare cose losche. Quelli che sono a casa dormicchiano, quelli che sono in giro dormono in piedi.
Potrei lasciare il resto di questa recensione in bianco, sono soddisfatta semplicemente per il fatto di aver ricopiato queste due righe.
Vi dirò di più: “Venere privata” è, come tutti gli altri volumi di Scerbanenco che ho avuto la fortuna di leggere, una storia agghiacciante e crudele.
Ci sono suicidi inscenati, medici ripudiati che si improvvisano investigatori, prostitute “part-time” che si prodigano in incredibili atti di coraggio, giovani alcolizzati dilaniati dai sensi di colpa, autostrade, pistole, automobili di lusso e tanti tanti tanti delinquenti.
Dimenticavo. Ho individuato due temi ricorrenti nei romanzi di Scerbanenco (o meglio, ritrovati più o meno in tutti e tre quelli che ho letto finora):
–sedicenti fotografi che si guadagnano da vivere catturando le pose di signorine “discinte”. A proposito: sono io ingenua, oppure quella posizione a “s” che il fotografo di “Racconti Neri” chiede alle sue modelle è qualcosa di totalmente oscuro anche per voi? Giuro che mi sono scervellata ma non riesco proprio a capire.
–tedeschi. Scerbanenco ADORA i tedeschi. Se c’è uno straniero nei suoi racconti, nove volte su dieci è un tedesco.
Altra cosa: alla fine di “Venere privata”, nell’edizione che possiedo io (Garzanti Elefanti) c’è un breve racconto in prima persona intitolato “Io, Vladimir Scerbanenko”, che ripercorre le “tappe” della sua vita dalla nascita in Russia, al trasferimento a Roma prima e Milano poi e ai primi lavori come scrittore.
Una bellissima sorpresa. Scerbanenco è praticamente il mio mito.
La sua storia finisce così:
Avevo già passato i trent’anni e avrei dovuto imparare qualche cosa da quello che mi era successo. Ma solo più tardi imparai che non s’impara quasi mai niente. Noi rimaniamo sempre gli stessi. Le esperienze della vita, gli insegnamenti delle persone più sagge, ci impolverano un poco, come quando camminiamo per una vecchia strada di campagna, ma basta soffiare su quel poco di polvere perché noi rimaniamo tali e quali come eravamo prima di ogni insegnamento. Così continuai a commettere gli stessi errori. Per fortuna, lavorando quattordici, sedici ore al giorno, scrivendo quattro, cinque romanzi e centinaia di racconti all’anno, avevo poco tempo per commettere errori. Ma ne commettevo sempre.