All’asilo, era obbligatorio disegnare quando te lo dicevano, giocare quando te lo dicevano, dormire quando te lo dicevano.
All’asilo, ci facevano disegnare degli alberi e poi veniva una psicologa a decifrarli per vedere se eravamo bambini normali o no.
All’asilo, durante il pranzo, non ci si poteva alzare in piedi. E se per caso succedeva, arrivava una suora e a volte ci scappava anche una sberla.
Alle elementari, ho preso un brutto voto perché ho disegnato la scuola con i fiori alle finestre e troppo simile ad una casa.
Alle elementari, le ore di educazione musicale, educazione all’immagine e educazione motoria erano sacrificate in nome di insegnamenti “più importanti” e in ogni caso si disegnava o cantava quello che ci veniva ordinato.
Alle elementari, ho preso un altro brutto voto perché invece di dire “I’m Giulia”, ho detto “I am Giulia”. Ma nessuno mi ha spiegato l’errore.
Alle medie, la mia professoressa di italiano cancellava interi periodi dai miei temi e li riscriveva di suo gusto nella colonna accanto. In rosso. Alle medie avevo paura di scrivere come mi veniva spontaneo fare, perché sapevo che qualcuno mi avrebbe giudicato in modo negativo.
Finite le medie, pensavo che scrivere fosse una cosa orribile e da fare secondo gli ordini di altri. Lo detestavo.
Alle medie, ho scoperto che mi piaceva disegnare ma la mia professoressa di Arte mi diceva che cosa e come lo dovevo fare, e poi comunque non andava mai bene perché non facevo esattamente come mi ordinava. Allora ho smesso e anche se volevo andare al liceo artistico, ho rinunciato perché pensavo di non essere capace.
Alle medie ho capito che cosa significa odiare qualcosa: la matematica. Non ho mai più “ripreso conoscenza” da allora.
Al liceo classico, le cose sono migliorate ed ho imparato che la scrittura poteva essere un mezzo di espressione potente e violento e che scrivere era bello e necessario.
Al liceo ho avuto l’immensa fortuna di conoscere dei professori che mi hanno fatto seguire le lezioni a bocca aperta, dei professori che non mi hanno fatto studiare dai libri ma che mi hanno insegnato le cose, perché sono riusciti ad insegnarmi prima un’altra cosa: la passione.
All’università, ho conosciuto tanti professori boriosi e gonfi di niente, però ne ho conosciuti anche tanti che hanno lasciato il segno.
Alle lezioni dei primi, disegnavo e mi distraevo pensando ad altro e poi, una volta fatto l’esame, dimenticavo tutto.
Alle lezioni dei secondi, invece, arrivavo con venti minuti di anticipo per sedermi in un posto comodo e “assorbire” tutta quella passione e tutta quella conoscenza.
Durante la mia carriera scolastica, durante gli anni in cui le mie inclinazioni e passioni sarebbero dovute rimanere libere e si sarebbero dovute delineare, ho conosciuto tanti adulti che mi “hanno rubato i sogni” perché secondo LORO, quello che mi piaceva fare non andava bene o non lo facevo nel modo in cui mi dicevano LORO.
Dimenticavo: durante tutti quegli anni, il mio comportamento è sempre stato definito vivace, impertinente, effervescente, sopra le righe, irrispettoso. Per tutti quegli anni, ho creduto che alzare la mano e dire “non sono d’accordo” fosse una cose di per sé sbagliata.
E la stessa cosa è successa e succede a centinaia, migliaia, miliardi di alunni, prima e dopo di me.
Alcuni, come me, hanno avuto la fortuna di conoscere anche adulti che hanno alimentato e incoraggiato quei sogni. Altri no.
“Non rubate i sogni” è un progetto che io e Alessio abbiamo iniziato perché abbiamo letto un libro e ne siamo rimasti folgorati.
Il libro in questione è “Stop stealing dreams” di Seth Godin e non esiste in italiano.
Noi lo stiamo traducendo perché vogliamo che tutti lo leggano e trovino il coraggio di alzare la mano e dire “Non rubate i miei sogni!”.