New Jersey – “Pastorale americana” (Philip Roth)

(per leggere tutte le altre tappe del mio coast to coast letterario)

Non occorre spingersi troppo lontano, dunque, basta guardare Ira e me per capire per quale motivo attraversiamo la vita con l’impressione generalizzata che tutti abbiamo torto tranne noi. E poiché non dimentichiamo le cose solo perché non contano, ma le dimentichiamo anche perché contano troppo (perché ciascuno di noi ricorda e dimentica secondo uno schema labirintico che rappresenta un segno di riconoscimento non meno caratteristico di un’impronta digitale), non c’è da meravigliarsi se le schegge di realtà che una persona terrà in gran conto come parti della propria biografia potranno sembrare a qualcun altro, che, diciamo, ha per caso consumato diecimila cene allo stesso tavolo di cucina, una deliberata escursione nella mitomania. Ma nessuno poi, davvero, tiene a inviare cinquanta dollari per la quarantacinquesima riunione degli ex allievi del suo liceo solo per saltar su e inscenare una protesta contro il modo in cui gli altri ricordano il passato; la cosa davvero importante, la gioia suprema del pomeriggio, consiste semplicemente nello scoprire di non essere ancora finiti nella pagina dei necrologi.

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La semplicità non è mai così semplice. Tuttavia, c’è voluto un certo tempo perché cominciasse a farsi domande. E, se esiste qualcosa di peggio del farsi domande troppo presto nella vita, è farsele troppo tardi.

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Ecco la storia di Merry, in due parole. Era impaziente. Era sempre impaziente. Forse era la balbuzie a spazientirla, non lo so. Ma a qualunque cosa si appassionasse, se ne appassionava per un anno, la consumava in un anno, e poi se ne disfaceva in una notte. Un altro anno, e sarebbe stata pronta per il college. E allora avrebbe trovato qualcosa di nuovo da odiare e qualcosa di nuovo da amare, qualcosa di nuovo cui appassionarsi e sarebbe finita lì.

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Ora, quando non si accorgeva che la gente la guardava, le venivano le lacrime agli occhi, occhi che avevano l’espressione di chi da tanto tempo si è abituato a soffrire e insieme si meraviglia di avere per tanto tempo tanto sofferto.

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Ciò che lui trovava stupefacente era il modo in cui gli uomini sembravano esaurire la propria essenza – esaurire la materia, qualunque fosse, che li rendeva quelli che erano – e, svuotati di se stessi, trasformarsi nelle persone di cui un tempo avrebbero avuto pietà.

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