Di corsa, di corsa, senza perdere tempo!
In questi mesi ho letto tanti libi meravigliosi e, per l’ansia di leggerne tanti altri, ho perso lo slancio e non ho scritto nulla. Non che il mondo sia in attesa delle mie opinioni (Come? Davvero non siete lì che aspettate me? Beh, dovreste), ma recensire un libro per me equivale ad archiviarlo e anche, perché no, a ringraziarlo per avermi tenuto compagnia.
Il fatto è che mi trovo in uno strano impasse: da un lato, ho bisogno di conservare le emozioni che i libri mi regalano per poterne parlare, dall’altro -come nel caso del libro appena letto- queste emozioni sono così straripanti che non riesco a metterle nero su bianco.
Quindi? Che faccio?
In fin dei conti chi sono io (oltre che un’esimia luminare) per dirvi che un libro è bello o brutto?
E soprattutto, che cosa posso dirvi di un libro bellissimo se non di leggerlo immediatamente?
Sembra tutto così superfluo, ultimamente.
Ho deciso così: invece di parlare del libro in sé, io vi dico che cosa mi è successo quando l’ho finito. E poi decidete voi se vi va di leggerlo o no.
Ho sfogliato l’ultima pagina di “Mi chiedo quando ti mancherò” (che mi ha regalato Alessandra) in pausa pranzo. Dietro al mio ufficio c’è un bel pontile che si sporge sul fiume e di solito, se c’è posto, mi siedo sempre lì.
Oggi, vista la giornata soleggiata e caldissima, erano tutti lì assiepati uno sopra l’altro (pampe, come si suol dire).
Io però sono uscita prima degli altri e mi sono seduta quando il pontile era ancora vuoto.
Quando ho finito il libro, in lacrime e singhiozzi piuttosto imbarazzanti, ho alzato lo sguardo, mi sono accorta che ero circondata da decine di persone. Per un attimo mi sono chiesta da dove cavolo erano usciti.
Poi li ho guardati bene e mi sono stupita perché non erano emozionati come me.