La mia lenta e metodica esplorazione della Nuova Zelanda ha recentemente subito una brusca accelerazione: dopo il weekend a Rotorua che vi sto per raccontare, in un paio di settimane prenderò un aereo che mi porterà nell’altra isola (quella a Sud). I cerchietti della mia mappa si stanno moltiplicando!
Perché questa fretta? Ho una sorpresa: torno in Europa!
L’avventura neozelandese sta per terminare e il 24 settembre metterò nuovamente piede sul suolo italiano. Tempo di disfare le valigie, di dire ciao alla mamma e al papà (e a chi capita), di riprendere il ritmo del fuso orario e poi, via, verso qualche altra meta. Quale? Ancora non si sa.
Quel che è sicuro è che , come diceva David Bowie, I don’t know where I’m going from here, but I promise it won’t be boring . (ho trovato questa frase nel blog di Ben e Annie -i gestori del negozio di frutta e verdura vicino a casa mia- che hanno appena deciso di mollare tutto e di partire per un viaggio di un anno in Asia).
Ma vi racconterò di questa decisione con calma e dovizia di particolari.
Detto ciò, torniamo all’argomento dell’articolo: Rotorua, Waiotapu, Waitomo e Aranui Cave.
Tutte le volte che vi ho parlato della Nuova Zelanda, ho cercato di trasmettervi la mia meraviglia nei confronti di una terra dove la natura esplode e non lascia spazio a nient’altro. Vi ho raccontato della libertà data dal vento, dell’attrazione per gli abissi e per quello che succede sotto acqua, del fascino selvaggio nei confronti di qualcosa che non avevo provato prima, mai.
Bene, queste mie sensazioni sono andate letteralmente in tilt dopo la mia ultima gita.
Quello che ho visto, cari miei, è qualcosa che va oltre.
Un mondo incontaminato e minaccioso, governato solo ed esclusivamente da una legge atavica, dove la terra e le pietre combattono e si scontrano con la potenza dei vapori bollenti che si sprigionano dal sottosuolo, dove l’acqua non è trasparente, non è blu, non è azzurra, non è niente di conosciuto o immaginato, dove le caverne hanno i soffitti incrostati di stalattiti e di insetti che brillano al buio e creano galassie stralunate e impossibili, dove tutto quello che sembra lasciato al caso è invece perfetto.
In una parola sola: preistoria. Questo è quello che ho pensato per tutto il weekend: quando c’erano i dinosauri, era tutto così.
Se state pensando che io sia diventata matta, che abbia usato parole a caso per descrivere un sogno ad occhi aperti…beh, continuate a seguirmi e cambierete idea.
Buon viaggio.
PS: tutte le foto sono mie tranne l’ultima (quella di Waitomo Cave) perché era naturalmente vietato fotografare gli insettini luminosi.