Cose che succedono a Berlino quando arriva il bel tempo

A Berlino, finalmente, è iniziata la primavera!
“E per fortuna” direte voi “Per otto mesi non hai fatto altro che parlare del freddo e del tuo naso screpolato e soprattutto ci hai ammorbato con foto delle neve, foto della strada ricoperta dalla neve, foto della bicicletta ricoperta dalla neve. Non ne potevamo più di te. Mollaci adesso.”

E invece, cari miei, mi dispiace dirvelo ma la primavera di Berlino ha un effetto così anomalo sugli autoctoni che non posso fare a meno di parlarvene profusamente e, dato che il mio smartphone ha subito una specie di esorcismo, tutto ciò che era smart è uscito dal suo corpo e non posso più scattare fotografie, inizio con un bel post.

Titolo: cose che succedono a Berlino quando arriva il bel tempo.

Quando a Berlino arriva il bel tempo, innanzitutto, c’è un attimo di incertezza che dura per un paio di giorni: in questo lasso di tempo avrete la possibilità di assistere all’evoluzione graduale dell’abbigliamento tedesco.
È doveroso premettere che i tedeschi sono i maghi dell’abbigliamento tecnico: scarponcini, giacche a vento termiche, berretti aerodinamici di lana di pecora islandese. Hanno tutto loro. Non li batte nessuno.
Durante l’inverno, di conseguenza, sono quasi sempre vestiti come se dovessero andare a sciare, io, che non rinuncio al mio montgomery di panno, batto le brocche e loro se la ridono.
Se da un lato, però, sono gli esperti dell’abbigliamento invernale per tutte le occasioni, dall’altro appena arriva un po’ di aria tiepida, non sanno cosa fare.
Il tedesco ragiona in modo abbastanza lineare, non ammette imprevisti o strappi alla regola: d’inverno ci si veste tanto, d’estate ci si veste poco. Punto.
Così, mentre io giro felice con la mia giacca di jeans, le ballerine senza calze e le stimmate sui piedi, loro, disorientati, si tolgono un pezzo alla volta.
Eliminano gli scarponi e si mettono le infradito mentre continuano ad indossare il piumino, optano per un k-way ma non si levano il berrettone di lana neanche se li minacciano di decapitazione.
Questo, come dicevo, dura per due o tre giorni.

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Quando la mente tedesca si adatta alla nuova piacevole condizione primaverile, non riesce più a tornare indietro.
Questo significa che se per una settimana fa caldino ma a un certo punto arriva una nevicata anomala (è successo), loro non si rimettono mica i vestiti più pesanti!
Se è arrivata la primavera, è arrivata la primavera. Così è deciso e non si discute. E le brocche le battono loro.

Ma il periodo di incertezza, per fortuna, pare che quest’anno sia finito. L’evoluzione è completa e l’autoctono, finalmente, può sfoggiare il meglio del meglio della sua selezione primavera-estate.
E anche qui, forti anomalie: le donne tedesche, ad esempio, non scoprono mai le gambe. No, non nel senso che indossano sempre pantaloni.
Le fraulein, signore e signori, d’estate indossano i COLLANT COLOR CARNE.
E non lo fanno perché hanno freddo, oh no, e neanche perché hanno un senso del pudore molto spiccato. Macché: per una ragione che non conosco, semplicemente considerano il collant scuro come un capo di abbigliamento invernale e quello chiaro, trasparente o, ORRORE, color carne, un capo di abbigliamento estivo.
Poi magari si mettono canottiere scollate, si stringono in top succinti e mostrano tutto quello che possono dalla vita in su, ma la pelle delle gambe non la scoprono. Sudano, fanno la sauna e si mettono con noncuranza i sandali mostrando la cucitura del tremendo collant su punta e talloni.

Ecco, io questo non riesco proprio a capirlo.

Qui non si tratta di vestirsi male (e i tedeschi non sono famosi per il loro gusto nell’abbigliamento), si tratta di essere inadeguati, di non rispondere in modo corretto alle sollecitazioni ambientali.

Ma andiamo avanti e cambiamo argomento.

Quando a Berlino arriva la bella stagione, i berlinesi si dedicano a uno dei loro passatempi preferiti: GRIGLIARE.
Tutto, sempre, ovunque.
Questo significa che da primavera in poi, l’aria inizia a puzzare (o profumare, de gustibus) di salsiccia. È come vivere in una grande e lunga sagra.
E voi direte: “Che bello! Sei tu che ti lamenti solo perché non mangi carne! Basta, vattene!” (eh ma che antipatici che siete oggi)

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E invece, cari miei, vi devo contraddire di nuovo: a me l’odore di bruciacchiaticcio, di roba che si cucina ai ferri, piace assai!
Solo che non mi piace alle 9 di mattina. E, soprattutto, non mi piace avere capelli e vestiti che puzzano di carbonella 24h/24!

E poi c’è anche da aggiungere che grigliano senza criterio. Di domenica pomeriggio, al parco, quasi non ci si vede da quanto fumo c’è.
Ma il parco è una bella cornice, la griglia ci sta tutta.
Il problema è che amano così tanto i loro barbecue, che cucinano anche nel terrazzino di un metro quadrato, in ufficio, nelle aiuole rinsecchite dove fanno la pipì i cani, nelle piazzole di sosta del tram: OVUNQUE!
La griglia è una tragica certezza della primavera berlinese.

Ma torniamo al parco e arriviamo ad un’altra anomalia. Cosa si fa al parco? Si mangia, si legge, si chiacchiera, ci si rilassa, se si riesce si fa anche una dormitina.

Questo è quello che faremmo noi, che, tutto sommato avremo anche i nostri difetti, ma ci sappiamo godere un po’ di più i piaceri della vita.

Avviene la stessa cosa che vi ho raccontato con la bicicletta: gli autoctoni non tollerano l’idea di rilassarsi, di stare tranquilli, di fare una cosa per il gusto di farla, di stare semplicemente lì in panciolle a godersi il sole.

NO.

Loro al parco si dedicano a numerose attività, quali:
-costruzione di piccoli accampamenti con tende professionali, canali di scolo e paletti di sostegno;
equilibrismo: tendono una grossa corda da un albero all’altro, si mettono in fila e cercano di camminarci sopra (non sto scherzando);
giocoleria: palle, birilli, e quei cosi che si vedevano nei festival all’aperto degli anni ’90. Sempre detestati;
-sport vari: frisbee, badminton, racchettoni, calcio. Tutto quello che può finire addosso agli altri, insomma;
allestimenti decorativi: palloncini, festoni, cose varie che piacciono alla loro selvaggia prole;
-preparazione di banchetti luculliani con panche, tavoli e vettovaglie (mai di plastica) portati da casa;
-intrattenimento musicale con casse potentissime e professionali;
-amache. Per riposarsi, udite udite, si portano l’amaca da casa e la montano. Per due ore di parco, loro portano l’amaca. E la montano.

IO LO RIPETO.
VI DOVETE DARE UNA CALMATA
perché io al parco ci vengo per leggere, mi siedo per terra anche senza coperta e voi mi mettete l’ansia, mi fate sentire in colpa. STATE FERMI.

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Terminiamo questa carrellata di inspiegabili accadimenti, con uno in particolare.
L’ho tenuto per ultimo perché mi sta particolarmente a cuore.

La Germania, tra le varie sfighe che le sono capitate nel corso della sua storia, ha avuto una grandissima fortuna. A un certo punto, non si sa bene perché, carovane di gelatai italiani hanno deciso di emigrare esportando la sacra arte del gelato artigianale.
Anche a Berlino, di conseguenza, ci sono molte gelaterie: alcune buone, alcune meno buone…e alla fine anche i miei amici tedeschi hanno imparato a fare il gelato! Che gioia!

Ora, non so da voi, ma dalle mie parti in Italia, da tempi antichi vige un’usanza: quando arriva la bella stagione, dopo cena si esce in bici e si va a prendere il gelato.
Si fa questa corsetta, si incontra un sacco di gente (proprio perché lo fanno tutti) e si mangia il gelato. Semplice e piacevole. A volte ci si accontenta anche di piccole cose, no?

Ebbene, quello che sto per dirvi ha dell’incredibile. Sedetevi.

Le gelaterie di Berlino, dopo cena, sono chiuse.
Chiuse.

Capite?

Allora, ditemi il senso della gelateria.
Quando vengo io a prendermi il gelato? Mi prendo un permesso dal lavoro?
Sono destinata a una vita di gelati confezionati presi al “deli” sotto casa?

Pensateci, autoctoni, e per una volta datemi ragione.