Chi mi segue in facebook, sa già di che cosa sto parlando.
Qualche giorno fa, vi ho anticipato una chicca che aveva a che fare con il mio libro preferito di quando ero piccola (o meglio, il primo libro che ho letto), “Il meraviglioso mago di Oz” appunto. Read more
Author: giuliadepentor
Una lista di biografie storiche
Ormai lo sapete, l’ho detto talmente tante volte che avete voglia di venire qui, prendermi per le spalle e possibilmente darmi due belle sberle.
Mi piacciono le vecchie foto, mi piacciono gli archivi, mi piace la polvere che copre le cose dimenticate, mi piace ricostruire le storie, mi piacciono i microfilm con i giornali di decenni fa. Read more
Qualche novità tra queste pagine
Ieri notte, in quel momento confuso che precede il sonno (e che quasi sempre, nel mio caso, coincide con le ultime parole della frase di un libro che si fanno confuse e si impastano e con la mia testa che ciondola), ho avuto una folle mania di grandezza e ho immaginato di dare un nome ai miei lettori.
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Talking Pictures – Images rescued from the past (Ransom Riggs)
Chi è Ransom Riggs? Un genio.
Vi ricordate il libro “Miss Peregrine’s home for peculiar children”? Non so se in Italia sia uscito (procuratevelo subito in qualche modo). Comunque, in breve, si tratta di una bellissima storia creata a partire da vecchie e strane fotografie che Ransom ha trovato in soffitte e mercatini.
State iniziando a capire perché mi piace così tanto, vero?
Oggi vi vorrei parlare di un altro suo libro, questa volta solo fotografico, che ho preso in prestito alla biblioteca di Auckland, distretto di Takapuna.
*Breve excursus sulla biblioteca di Auckland*
La adoro. Punto. Potrei trascorrere lì dentro ore, giorni, settimane. Vorrei andare lì quando non lavoro in libreria e diventare una persona casabibliotecalibreria. Non male, vero?
La biblioteca di Auckland ha un sistema di prestito fenomenale: in pratica tu guardi i libri a disposizione nel sito internet e se trovi quello che desideri, puoi chiedere che venga trasportato nella tua sede preferita. Nel mio caso, visto che lavoro lì, Takapuna.
Ho quindi richiesto il mio libro di Ransom Riggs e dopo un paio di giorni ho ricevuto una mail di avvenuta consegna. Sono andata in biblioteca, ho trovato il libro in uno scaffale dedicato alle richieste -non mischiato con gli altri- ordinato per cognome del richiedente.
Ora, lasciamo perdere che per venti minuti buoni ho cercato il libro sotto la R di Riggs e non sotto la D di Depentor…ma non vi pare che il sistema sia semplice ed efficace? Non voglio fare paragoni con la mia biblioteca storica ma…
Altro punto a favore: se vai in biblioteca e cerchi un libro che non riesci a trovare sugli scaffali (mi capita sempre, sono una frana con la classificazione Dewey), una dolce vecchina ti aiuterà nella ricerca chiamandoti “honey”, “sweetie” e “darling”.
Conclusione: le biblioteche di Auckland ci piacciono assai.
Torniamo al buon Ransom che raccoglie le vecchie fotografie e ne inventa delle storie.
“Talking Pictures” è un libro esclusivamente fotografico. Perché? Semplice, sono le foto, con i loro appunti e commenti, a raccontare le storie. Come dice l’autore, purtroppo non si usa più scrivere sul retro delle fotografie. O meglio, non si usa quasi più fare vere fotografie (con il rullino, la pellicola, la carta).
“Le macchine fotografiche stanno proliferando come mai prima d’ora, ma le immagini che producono sono stringhe effimere di 0 e 1, raramente stampate, raccolte in modo digitale, facilmente danneggiabili o cancellabili, suscettibili al calore, ai magneti e all’oblio. Un hard drive può durare cinque anni, un CD può durarne dieci o quindici.
Una fotografia stampata bene sarà visibile anche dopo un secolo. I negativi anche di più”
Io e Alessio ne parlavamo giusto ieri (e dai discorsi che facciamo, capirete perché stiamo inesorabilmente diventando vecchi): lungi da noi rifiutare le comodità del mondo digitale, ma una volta era meglio. Il CD te lo dovevi comprare, dovevi spendere trentamila lire, poi però lo consumavi letteralmente, ti leggevi tutti i testi del libretto e cantavi le canzoni finché non le sapevi a memoria. Al cinema ci andavi poco, selezionavi i film e te li gustavi dal primo all’ultimo fotogramma. Stessa cosa per i libri. Nessuno nega che sia fantastico poter avere tutto a disposizione e soprattutto averlo subito, il problema è che non c’è più selezione. Sei bombardato da valanghe di materiale e spesso perdi più tempo a dividere ciò che è buono da ciò che è spazzatura.
Lo stesso vale per le fotografie: con una reflex in mano sono tutti bravi. Ed è bellissimo: quando vado in giro, non mi preoccupo di fare brutte foto o di bruciare il rullino. Fa tutto la Canon. Poi però prendo in mano una Lomo o una qualsiasi altra macchina analogica e non sono capace di inserire il rullino, oppure lo inserisco ma quando vado a ritirare le copie pronte, Michelino mi dice che non ne è venuta fuori neanche una.
(chi è Michelino? Eh, sei di San Donà se…)
Dove volevo arrivare? Ah sì, il libro di Ransom Riggs!
Io vi metto qualche anticipazione ma voi correte a prenderlo: ogni pagina è un incredibile viaggio. Chi sono quelle persone? Che fine hanno fatto? Qual era il loro colore preferito? Si sono sposati alla fine? Lui è morto in guerra?
…e tante altre meraviglie!
PS: trovo solo un difetto. Di tutte le foto belle che ha trovato, proprio quella doveva mettere in copertina? Paura.
New Jersey – “Pastorale americana” (Philip Roth)
(per leggere tutte le altre tappe del mio coast to coast letterario)
Non occorre spingersi troppo lontano, dunque, basta guardare Ira e me per capire per quale motivo attraversiamo la vita con l’impressione generalizzata che tutti abbiamo torto tranne noi. E poiché non dimentichiamo le cose solo perché non contano, ma le dimentichiamo anche perché contano troppo (perché ciascuno di noi ricorda e dimentica secondo uno schema labirintico che rappresenta un segno di riconoscimento non meno caratteristico di un’impronta digitale), non c’è da meravigliarsi se le schegge di realtà che una persona terrà in gran conto come parti della propria biografia potranno sembrare a qualcun altro, che, diciamo, ha per caso consumato diecimila cene allo stesso tavolo di cucina, una deliberata escursione nella mitomania. Ma nessuno poi, davvero, tiene a inviare cinquanta dollari per la quarantacinquesima riunione degli ex allievi del suo liceo solo per saltar su e inscenare una protesta contro il modo in cui gli altri ricordano il passato; la cosa davvero importante, la gioia suprema del pomeriggio, consiste semplicemente nello scoprire di non essere ancora finiti nella pagina dei necrologi.
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La semplicità non è mai così semplice. Tuttavia, c’è voluto un certo tempo perché cominciasse a farsi domande. E, se esiste qualcosa di peggio del farsi domande troppo presto nella vita, è farsele troppo tardi.
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Ecco la storia di Merry, in due parole. Era impaziente. Era sempre impaziente. Forse era la balbuzie a spazientirla, non lo so. Ma a qualunque cosa si appassionasse, se ne appassionava per un anno, la consumava in un anno, e poi se ne disfaceva in una notte. Un altro anno, e sarebbe stata pronta per il college. E allora avrebbe trovato qualcosa di nuovo da odiare e qualcosa di nuovo da amare, qualcosa di nuovo cui appassionarsi e sarebbe finita lì.
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Ora, quando non si accorgeva che la gente la guardava, le venivano le lacrime agli occhi, occhi che avevano l’espressione di chi da tanto tempo si è abituato a soffrire e insieme si meraviglia di avere per tanto tempo tanto sofferto.
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Ciò che lui trovava stupefacente era il modo in cui gli uomini sembravano esaurire la propria essenza – esaurire la materia, qualunque fosse, che li rendeva quelli che erano – e, svuotati di se stessi, trasformarsi nelle persone di cui un tempo avrebbero avuto pietà.
Gli aggiornamenti di febbraio
Da sempre, febbraio è un mese che mi piace.
Prima di tutto, è breve: passa via così e, senza neanche accorgertene, sei in marzo e la primavera è vicina.
Febbraio, inoltre, ha un bellissimo colore. Vi ricordate che, per me, tutte le cose -i nomi, le lettere, i numeri- hanno un colore, vero? Giulia è indubitabilmente giallo (e di che altro colore poteva essere?), la Nuova Zelanda è arancione e verde, Parigi è grigia e New York nera…e così via.
E febbraio? Febbraio è bellissimo perché è viola scuro e si mischia con il colore del cielo durante i mesi freddi: viola e bianco. Dopo il mio amato giallo, i colori che mi piacciono di più.
E poi, febbraio è il mese che cambia quando l’anno è bisestile. Non è bellissimo? Cioè, se il mio giorno di nascita non fosse perfetto in quanto alla precisa metà dell’anno, io mi cambierei i documenti per essere nata il 29 febbraio. Davvero.
Adesso, però, è tutto diverso: febbraio non esclama a gran voce che il freddo sta finendo, ma il contrario. E non si mischia più al ghiaccio e ai colori freddi, ma all’arancione e al lilla dei tramonti. Combinazioni che imparerò ad apprezzare.
Quest’anno, febbraio è iniziato con un cielo stellato talmente bello che pensavo fosse finto, come la carta che si mette dietro al presepe. C’era la via lattea. Si vedeva. Vi rendete conto? Io pensavo che la via lattea fosse teorica, una cosa da studiare sui libri, tipo gli anelli di Saturno che ci sono ma tu mica li puoi davvero vedere se non hai un telescopio da paura. E invece lei era lì.
E febbraio è anche portatore di tantissimi progetti. Forse mi sto preparando ad occupare il tempo in vista dell’inverno che qui mi dicono essere piovoso come non mai?
Andiamo con ordine:
-prima di tutto, ho trovato un altro lavoro! Non “un altro” nel senso che lascio la libreria, figuriamoci. Fare la libraia è il lavoro che voglio fare da grande, l’ho capito.
Sto parlando di un lavoro in più: da domani, infatti, ogni sera vestirò i panni -bianchi e neri- della cameriera in un ristorante italiano qui vicino! Vi aggiornerò sugli sviluppi 🙂
Intanto, ciao dalla libreria più bella del mondo.
-e a proposito…se avete voglia di leggere le mie avventure in libreria, sintonizzatevi sul meraviglioso blog della mia amica Camilla. Tra qualche giorno sarete accontentati!
-come molti di voi forse hanno capito dalle foto che pubblico nella mia pagina facebook (mettere like, subito!), ho iniziato a suonare l’ukulele! Credetemi, è uno strumento facilissimo e intuitivo e dà un sacco di soddisfazioni! Dopo una sola settimana di prove (grazie ai numerosissimi video che si trovano su youtube), ho già imparato cinque canzoni: il problema è che riesco a suonarle e cantarle bene solo quando sono da sola, perché mi vergogno. Questo significa che quando “mi esibisco”faccio pena, e nessuno mi crede. Il paziente Alessio, tuttavia, può confermare che mi sto impegnando molto.
(la seconda foto testimonia il mio volontario isolamento mentre suono e canto)
-ho ricominciato a scrivere il mio “famoso” libro! Ricordate? Era uno dei buoni propositi per il 2014. Un capitolo al giorno, senza esagerare: procedo lenta ma inesorabile, prendendo a piene mani da storie di vita vissuta. Vi dico solo che, al momento, uno dei miei protagonisti si trova a Berlino e sta per essere processato per bigamia. Ciao, bisnonno Marino…e grazie!
-…e ne sto progettando un altro! Tutto è ancora in fase embrionale ma vi assicuro che è una storia -vera- avvincente e appassionante che è iniziata in Italia durante la Seconda Guerra Mondiale…e sta continuando qui in Nuova Zelanda! Frequento assiduamente le biblioteche di Auckland, dove mi sto riempiendo di materiale di studio. Sì, in storia spesso faccio cilecca ed è bene che mi documenti un po’ prima di fare una figuraccia davanti alla protagonista dell’incredibile avventura che voglio scrivere. Non vedo l’ora di iniziare!
–Bookstee è quasi pronto! Siamo in attesa delle ultime etichette e poi potrete tutti ordinare le vostre magliette personalizzate! Non sono bellissime? Dai, su, iniziate a pensare ai vostri libri preferiti!
-non aprirò un laboratorio di sartoria ma, tanto per gradire, ho imparato a cucire semplici gonne (questa qui sopra -assieme alla Bookstee) è il primo tentativo, ma c’è un grosso margine di miglioramento). Dato che non riesco mai a trovare i vestiti che mi piacciono, mi sono detta che dovevo arrangiarmi. Ovviamente, non avendo una macchina da cucire, ho fatto tutto a mano impiegandoci ORE: questo significa che, prima di confezionare un’altra gonna, dovrò ritrovare un bel po’ di motivazione. Il modello che ho scelto, tuttavia, è davvero semplice e, con gli strumenti giusti, penso che in un’ora si possa fare tutto senza problemi.
Per ora, mi limito ad intrecciare braccialetti dell’amicizia: ne sto facendo decine e decine.
Fare nodi mi rilassa.
Se passate di qua, ve ne regalo un po’ perché non so più dove metterli.
-e per tornare ai libri, fa sempre tantissimo piacere sapere che -dopo quattro anni e dopo che le copie sono esaurite da un bel po’- c’è ancora gente che vorrebbe leggere il mio libro su Mario Rorato. La sorpresa, questa volta, è arrivata da un gruppo di Facebook che, ricordando vari aneddoti su San Donà di Piave, ha menzionato anche il triste episodio del 1970, chiedendo in che modo ci si potesse procurare una copia del libro. Ho già scritto a loro e lo riscrivo qui: il libro, purtroppoperfortuna, è praticamente esaurito, ma se vi accontentate di una copia digitale in .pdf da leggere sul computer (agh) o da stampare (meglio), la potete scaricare gratuitamente a questo link.
Se, invece, siete dei puristi della carta (e vi capirei perché il libro è graficamente molto bello e pieno di immagini…grazie ancora a Valentina per tutto l’aiuto!), penso che possiate trovarne una copia alla biblioteca comunale.
La copia digitale che vi offro, purtroppo, non funziona sul Kindle…mi riprometto sempre di farne un ebook serio ma sono davvero molto pigra. Se qualcuno si offre volontario, riceverà braccialetti dell’amicizia, gonne cucite male e strimpellate di ukulele a vita!
Tanta roba sul fuoco, eh?
…la Nuova Zelanda mi mette energia! Se ne avessi avuta metà di quella che ho adesso mentre abitavo a Berlino, probabilmente sarei riuscita anche a imparare il tedesco. Volete sapere un segreto? Secondo me è perché non trascorro dieci ore da zombie di fronte al computer e faccio lavori che mi stancano fisicamente e non mentalmente.
E comunque, no, il tedesco non l’avrei ugualmente imparato.
Propositi per il 2014: sì, no, boh
Arrivo tardi come al solito. E sì che qui sono dodici ore avanti e dovrei essere sempre la prima a scrivere e condividere tutto. E invece no.
Forse quando il mistero dei fusi orari si risolverà e riuscirò a capire come sia davvero possibile vivere un giorno che lì da voi ancora non è cominciato (ho capito ore…ma giorni? MISTERO), allora inizierò anch’io a dire le cose quando è ora e non venti giorni più tardi.
Tra l’altro, dato che per due mesi dopo il mio arrivo, ho continuato a svegliarmi alle SEI del mattino, pensavo che la Nuova Zelanda mi avesse finalmente cambiata, rendendomi mattiniera e attiva fin dalle prime ore del giorno.
Invece, non solo non era vero (adesso faccio fatica a svegliarmi alle 8, come da copione), ma ho anche scoperto che erano ancora gli effetti del jet lag che -caso da manuale- per me è durato quasi due mesi.
(Che poi jet lag come parola non mi piace per niente. Chiamiamolo “mal di fuso”, come suggerisce Wikipedia.)
Che disastro.
Comunque ci siamo, tutto è tornato normale. Sono sempre uno zombie fino a mezzogiorno e se non bevo subito il caffè, inizio a insultare selvaggiamente chi ha la sfortuna di incontrarmi.
Detto ciò, mi sono riletta i buoni propositi dell’anno scorso.
Se ce l’ho fatta? Vediamo.
1) Mettere via dei soldi e poi spenderli tutti insieme per andare un mese in Nuova Zelanda.
Beh, ho fatto le cose più in grande. Primo proposito: YES!
2) Ammettere finalmente che non imparerò mai il tedesco.
Evviva! Mantengo le promesse! Attenzione attenzione: due su due!
3) Essere più easy. (Easy nel senso di tranquilla, che tradotto meglio nel vocabolario depentoresco significa “incazzarsi di meno”)
Sì? No? Diciamo ni. Più easy lo sono diventata certamente perché ho deciso di ignorare la gente che non mi interessa e di abbandonare la nave quando le cose non mi piacciono più. Una volta combattevo per cambiarle, mi arrabbiavo tanto anche, adesso pazienza. Non significa che non combatto più -quello mai- significa che riconosco quando ne vale la pena. Se non è così, alzo le spalle, mi giro dall’altra parte e faccio altro. Di meglio, possibilmente.
Esattamente come le pecore di queste fotografie che ho scattato qui domenica, solo apparentemente pacifiche e disinteressate. In realtà hanno capito tutto e sanno chi evitare e con chi chiacchierare. E poi, avete notato il loro sguardo di sufficienza?
Direi quindi che il 2013 si è concluso bene! Sono stata brava, vero?
Sull’onda di questo sfrenato entusiasmo, per quest’anno ho formulato UN SOLO proposito.
Finire il mio libro, scrivendo almeno una pagina al giorno.
(l’ho cominciato nel 2008 quando vivevo a Parigi, è ora di decidere che cosa succederà)
Aggiungo una postillina: il mio 2014 sarà improntato ancora di più sulla mia massima di vita “solo gli stupidi non cambiano idea”. Perché è proprio così: solo gli stupidi non cambiano idea. Non c’è altro da aggiungere.
E quando la gente mi parla di coerenza e principi, io faccio come le pecore, mi giro e vado a cercare l’erbetta più fresca.
Voi seguitemi, spronatemi a scrivere, rompetemi le palle chiedendomi ogni giorno a che punto sono.
Ci conto.
Lo scaffale d’oro di Lorenzo
E dopo qualche settimana (mese?), tornano i vostri scaffali d’oro!
Ho deciso di ricominciare oggi con Lorenzo perché…è il suo compleanno! E mica uno a caso: compie trent’anni! UUUH! Auguriii!
Ecco come si descrive:
Nasco a cavallo tra Emilia e Romagna, bello e intelligente; nel giorno del mio primo compleanno, però, decido di tuffarmi di testa dal seggiolone, e niente sarà più come prima. Scrivo, imparo e lavoro sul web, innamorato della concisione e dell’ignoranza. Ho un gatto, un’allergia ai gatti e una passione smodata per il trash e gli anni 80, possibilmente combinati insieme. Al momento vivo ad Amsterdam.
Ed ecco i suoi libri!
José Saramago – Cecità
Dubner, Levitt – Freakonomics
Alan Moore – Watchmen
Jennifer Toth – Uomini Talpa
Isaac Asimov – I robot dell’alba
Jennifer Egan – A visit from the goon squad
Peter Cave – What’s wrong with eating people?
Robert Pirsig – Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta
Jorge Luis Borges – Finzioni
William Golding – Il signore delle mosche
Luther Blissett – Q
Neil Gaiman – The Graveyard Book
Raymond Queneau – Il diario intimo di Sally Mara
Ernest Hemingway – Fiesta
Edwin Abbott – Flatlandia
Auguri Lorenzo!
Colorado – “Shining” (Stephen King)
Nel salone da ballo dell’ala est erano in corso contemporaneamente una decina e più di riunioni d’affari diverse, con uno scarto temporale di pochi centimetri l’una dall’altra. Ed era in pieno svolgimento un ballo in costume. C’erano serate di gala, ricevimenti nuziali, feste di compleanno e anniversari di matrimonio. Uomini che parlavano di Neville Chamberlain e dell’arciduca d’Austria. Musica. Risate. Euforia. Isterismo. Di amore, poco: ma si avvertiva una corrente sotterranea di sensualità. E Jack riusciva quasi a udirli tutti assieme, nell’atto di vagare per l’albergo, e davano luogo a una gradevole cacofonia. Nella sala da pranzo dove si trovava ora, colazione, pranzo e cena di un arco di tempo di settant’anni venivano serviti simultaneamente proprio alle sue spalle. Poteva quasi… ma no, sgombriamo pure il campo da quel quasi. Li sentiva proprio, per ora deboli, ma chiari: allo stesso modo in cui si può udire il tuono a chilometri di distanza in una calda giornata estiva. Li sentiva tutti, gli splendidi sconosciuti. Si accorgeva della loro presenza, come loro avevano avvertito la sua fin dall’inizio.
Tutte le camere dell’Overlook erano occupate, quella mattina.
Tutto esaurito.
Alabama – “Il buio oltre la siepe” (Harper Lee)
Atticus aveva detto che non si conosce mai a fondo un uomo finché non ci si mette nei suoi panni. Salire sul portico dei Radley mi era bastato.
Le luci della strada apparivano vaporose per la pioggia sottile, che ora cominciava a cadere. Avviandomi verso casa mi sentii vecchissima, ma quando mi guardai la punta del naso vidi delle belle perline di bruma, solo che strabuzzare gli occhi mi diede le vertigini, e così dovetti smettere.
Avviandomi verso casa, pensai che sarebbe stata una cosa formidabile da raccontare a Jem l’indomani. Sarebbe stato talmente arrabbiato per averla perduta da non rivolgermi la parola per giorni e giorni. Avviandomi verso casa, pensai che Jem e io saremmo diventati grandi ma che non c’era rimasto gran che da imparare, salvo l’algebra, forse.