3. Facciamo un passo indietro

(Il capitolo precedente)

E poi più nulla, per circa un anno.

Nel settembre del 2010, quando avevo bussato alla porta dell’appartamento del mio bisnonno e avevo esplorato il cimitero, ero convinta che mi sarebbe bastato fare un paio di domande per scoprire tutto.
Come avevo potuto sottovalutare i settant’anni che erano trascorsi?
Bisognava assolutamente fare un passo indietro. Andare da chi poteva avere informazioni, date e nomi, e cercare di ricostruire in modo più o meno preciso almeno l’inizio della storia.
In questo ho avuto una doppia fortuna: in primo luogo, le persone migliori da intervistare – i tre figli del bisnonno – erano reperibili e disponibili. In secondo luogo, si ricordavano tutto.
Sì.
Si ricordavano tutto.
Il problema era che ognuno di loro si ricordava ogni avvenimento in modo diverso dagli altri due.
Sul pomeriggio trascorso a discutere con i tre fratelli G., potrei scrivere un libro a parte. Diciamo, come anticipo, che a un certo punto hanno addirittura litigato perché in disaccordo su un punto della storia.
Chi aveva ragione? Impossibile da stabilire.

Ma tutto questo è successo circa un anno dopo, quando cioè le avventure del bisnonno a Berlino erano abbastanza delineate e io stessa mi ero ritrovata a dover rivelare particolari scomodi della sua vita.
Particolari che nessuno sapeva. Nemmeno i suoi figli.

Certo, se non l’avevate già capito all’inizio, una cosa che non è mai mancata a questa storia è la confusione.
A cominciare dal cognome: si è mai sentito che nella stessa famiglia, di padre in figlio, il cognome venga scritto in due modi diversi?
In questa famiglia è successo. E il bisnonno, in particolare, non accontentandosi delle due versioni già esistenti (con una erre e con due erre) ha aggiunto un paio di originali interpretazioni teutoniche.

Ma sto divagando e vi avviso che succederà molto spesso.
Questa storia è così incredibile e intricata che più che un libro servirebbe una parete enorme per scrivere nomi e collegarli tra loro.

Torniamo all’inizio, o almeno proviamoci. Torniamo cioè al punto in cui decisi di intervistare la prima dei figli del bisnonno, quella che all’epoca era abbastanza grande da ricordarsi bene la cronologia dei suoi primi spostamenti.
Si dà il caso che la primogenita fosse proprio la mia nonna.
Questa storia continua quindi nel salotto di casa sua.

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“Nel 1945 poi iniziavano a tornare i prigionieri dalla Germania…mia mamma andava tutti i giorni in stazione a vedere, ma lui non arrivava mai. Controllava addirittura le barelle dei feriti, ma niente da fare. Lui non c’era. Non sapevamo niente di lui. Siccome ci aveva promesso che sarebbe tornato, a un certo punto abbiamo creduto che fosse morto.
Anni dopo, poi, abbiamo scoperto che era ancora vivo perché mia mamma è stata chiamata dal Comune. Lui si era risposato, anche se aveva già una moglie, ed era quindi stato condannato per bigamia.”
(nda: la condanna per bigamia è avvenuta nel 1951)

Intervistare la nonna su una guerra vissuta in prima persona, portò inevitabilmente a delle divagazioni enormi su bombardamenti, sfollati, rifugi e nascondigli.
Non potevo chiedere di meglio: adoro ascoltare le storie realmente accadute e la nonna mi stava raccontando dei particolari della sua giovinezza davvero impressionanti.
Mentre ascoltavo di quando la loro mamma si era ammalata di polmonite ed era stata portata in un ospedale di fortuna e loro -i tre figli- erano rimasti soli ed erano stati trasferiti a Venezia da alcuni parenti, pensavo che se la nonna era nata nel 1929 e stavamo parlando di un periodo attorno al 1940, tutto questo accadeva quando lei era davvero ancora una bambina.

“Mi ricordo perfettamente che tutti e tre indossavamo zoccoli di legno: era notte fonda e per le calli di Venezia si sentiva solo quel rumore fortissimo. Poi siamo stati divisi, io sono stata portata a Burano e i miei fratelli per un periodo hanno vissuto in orfanotrofio. Sono passati circa sei mesi, la mamma è stata meglio -anche se soffriva di asma- e noi siamo tornati a San Donà, dove adesso c’è la bottega di C.
Lui era partito nel 1940, me lo ricordo bene perché siamo andati a salutarlo a Venezia. Nel 1943 poi è tornato ed è rimasto per un periodo qui, ha addirittura lavorato in un bar del centro (nda: faceva il cameriere, oltre che il cantante lirico).
Poi è ripartito di nuovo, prima dell’8 settembre, e non l’abbiamo più sentito.”

Che cosa aveva fatto il bisnonno una volta arrivato in Germania? Perché si era subito risposato, senza trovare il tempo di divorziare? La seconda moglie era tedesca? Era ancora viva? Avevano avuto dei figli?
Domande, per ora, senza risposta.
A quel punto, la cosa migliore da fare era ritornare a  Berlino e contattare il Consolato italiano.
Magari loro ne sapevano qualcosa.

(Il capitolo successivo)