Baby you can drive my car. BUT PLEASE DON’T.

Baby you can drive my car. BUT PLEASE DON’T.

Io non so niente di automobili. Niente.
Odio guidare. Sono stata bocciata all’esame di pratica della patente.
Poi la patente l’ho presa ma, in undici anni di onorata attività, non ho mai guidato in autostrada. Raramente sono uscita dalla cinta muraria di San Donà. Che poi a San Donà non c’è nessun muro ma avete capito lo stesso.
Andare a 100 all’ora per me è una cosa che si verifica solo nelle canzoni di Gianni Morandi. Penso di aver sfiorato una volta gli 80 km/h e di essermi sentita molto spericolata. Non ho mai sorpassato. MAI. Neanche i trattori.

Sono un’imbranata. Sono quella che odiate quando avete fretta, quella che blocca tutta la fila che poi sembra ci sia la processione per un funerale, quella che non sa fare le partenze in salita, quella a cui muore la macchina al semaforo verde, quella che a volte il semaforo verde neanche lo vede perché si è distratta a cercare la radio bella.

Ovviamente le automobili sono la mia ultima preoccupazione. Non mi piacciono, le trovo tutte esteticamente molto brutte e ingombranti. Di marche e modelli neanche se ne parla: sono nere, rosse, grandi, piccole. Corrono, portano da un punto A a un punto B.  Punto. Finite.
Sempre meglio, poi, se al punto B mi ci porta qualcuno che si offre di guidare al posto mio.

Tutta questa lunga premessa per dirvi che qui ad Auckland ci dobbiamo comprare una macchina. Funziona così: cerchi una macchina usata, contatti il venditore, la vai a vedere e poi -se vuoi- chiami un meccanico che ci dia una controllatina prima di comprarla.
Io e Alessio abbiamo (plurale totalmente immeritato e ingiusto) trovato una macchina di nostro gradimento e assieme siamo andati a vederla.

Cose a cui ho prestato attenzione io:
-Oh, hai visto il tipo? Identico a Dexter, pazzesco!
-Che bella casaaa! Wow, che patio! Si vede che è nuova, infatti lui l’ha anche detto che stanno facendo lavori.
-Mi piace questo quartiere! Anzi, dopo proviamo quel bar che ho visto venendo qui.
-Azzurra! Sì sì, mi piace, perfetta. Puzza un po’ di fumo ma ci diamo una pulita! La prendiamo!

Cose a cui ha prestato attenzione Alessio:
-Per caso hai notato se c’erano spie accese sul cruscotto? (Spie? Cruscotto?)
-Non ho mai avuto un’auto con il cambio automatico! Tu? Ne hai mai guidata una? (Io avevo una Clio del 1897, non so neanche se ce l’aveva il cambio)
-Devo guidare a sinistra per la prima volta nella mia vita. Sì, il colore della carrozzeria è molto carino e la vista con il mare lì in fondo è stupenda, ma ti prego lasciami concentrare! (Ma guarda che panorama!)

Insomma, alla fine decidiamo che ci piace e fissiamo l’appuntamento col meccanico.
Io lavoro solo per un paio di giorni alla settimana per il momento, quindi…sì, state immaginando bene.
Alla revisione della macchina devo partecipare IO.

In ansia per paura di dover discutere di cose strane tipo candele e cavalli, a un certo punto entro in paranoia perché pare che FORSE dovrò anche guidare. Contromano (sì, siete contromano), in una grande città che non conosco, DA SOLA.
Poco prima del controllo, succede questo:

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SEMMAI LA COMPRIAMO SBATTUTA.

Fortunatamente lo scenario peggiore non si verifica in quanto non c’è bisogno di me come essere pensante. Fa tutto il meccanico. Io aspetto seduta sul marciapiede bevendo cappuccino e mangiando uno scone al cioccolato (presi in quel bar tanto carino). E alla fine, quando lui giustamente vuole dirmi com’è ‘sta macchina, io prima fingo di intendermene poi, appena dice una parola paurosa tipo ENGINE, esclamo con un tono di voce decisamente troppo acuto “Non capisco niente di macchine! Ahahahahah!”

Però a parcheggiare sono brava. Inspiegabilmente.

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…è la macchina di Dexter! Prendiamola ti pregooooo!

Don’t stop me now

Don’t stop me now

La mia prima settimana neozelandese, come sapete, è stata magnifica e sorprendente.
Ieri si è conclusa anche la seconda e, non mi crederete, è stata anche migliore della prima! Innanzitutto ho definitivamente sconfitto il jet lag (e vi assicuro che non svegliarsi più alle 4 di mattina e dover fare una rampa di scale al buio per andare a fare la pipì, ha sancito un netto miglioramento nella qualità del mio sonno), e poi il mio peregrinare a piedi per le salite e le discese di Auckland ha dato i suoi frutti. Ho trovato il mio primo lavoretto nella terra dei Kiwi e, se devo essere sincera, proprio non mi sarebbe potuta andare meglio.

Sì. Lavoro in una libreria.
Solo per qualche ora a settimana, certo.
Non è il lavoro che mi permetterà di ottenere un visto e di comprarmi una villa con piscina, certo.
Ma ce l’ho fatta. Sto realizzando uno dei piccoli sogni che avevo messo da parte e voi non potete neanche immaginare quanto io ne sia fiera.
Lavoro in una libreria. Mi piace persino dirlo.

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Arrivata a Auckland, ho preparato una lista di tutte le librerie nelle quali mi sarebbe piaciuto lavorare e le ho visitate una per una (macinando chilometri a piedi), presentandomi e lasciando il mio curriculum. E dove ho trovato lavoro? In una di quelle che non avevo inserito nella lista, naturalmente.
E perché? Semplice: in internet non ne avevo trovato quasi traccia.
Vuoi la posizione non proprio centrale, vuoi il fatto che non si trova nella top ten delle librerie più cool e famose di Auckland…chissà.
L’avevo ignorata. Non sapevo neanche che esistesse.

Primo insegnamento
Non c’è solo internet. Internet è utile ma è solo uno strumento. Ci sono persone e cose reali che si scoprono solo spegnendo il computer e andando in giro. Certo, la “mia” libreria (non suona bene? La mia libreria. Ok, ora mi commuovo) ha un sito internet e un indirizzo mail. Sono utili. Punto.

Ma la vita -quella bella, quella che piace a me- va al di là del numero dei follower e dei like in Facebook. 

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La mia bella libreria era lì, alla fine di una galleria -che qui chiamano arcade- in un quartiere che avevo deciso di esplorare quel giorno solo perché avevo accompagnato Alessio al suo nuovo ufficio. Una serie di coincidenze mi ha portato a scoprirla: il caffè bevuto in un bar anziché in un altro, la pioggia improvvisa che mi trattiene nel locale per mezz’ora in più, la decisione di uscire proprio alle 10 spaccate, il momento cioè in cui la libreria apre e il proprietario passa davanti al bar portando un cartello da esporre sulla strada principale con scritto “Secondhand books and rare editions”.
Coincidenze? Mah.
Entro e subito sento qualcosa: è il posto giusto.
Respiro l’odore di carta vecchia e tocco le copertine piene di polvere. Cammino tra gli scaffali e percepisco una specie di scossa: questo è un luogo magico, ha anima e storia…come ve lo posso spiegare?
Io preferisco i libri usati: raccontano una vicenda con le parole scritte e poi nascondono altre mille avventure. Quante mani avranno accarezzato queste pagine? E dove? E quando? Perché quella frase è stata sottolineata? Che cosa significa quell’orecchietta a pagina 39?
Mille storie, cari miei, non solo una. E se ascoltate bene, quel libro ingiallito sarà felice di raccontarvele tutte.

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Mi sento felice dentro lì, eppure per un attimo dubito.
Perché mai -mi dico- un posto come questo dovrebbe assumere persone nuove? Questi non sono negozi, sono istituzioni. La gente che ci lavora è qui da sempre, conosce i clienti, sa esattamente come sono disposti i volumi senza neanche bisogno di classificarli. Forse è meglio lasciar perdere.

Secondo insegnamento 
Avete un sogno? Provate a realizzarlo, sempre. Provate, bussate, rompete le palle. E se vi sembra stupido o inutile, provate lo stesso. Tanto che cosa può succedere di male? Vi dicono di no? E che sarà mai!

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Rimugino un po’ e prendo la mia decisione: indosso la mia faccia tosta più convincente, mi dirigo verso il bancone, mi presento e lascio il mio curriculum. Aggiungo che farei qualsiasi cosa pur di lavorare in un posto affascinante come quello.
Grazie -mi dicono un po’ sorpresi- per ora non cerchiamo ma forse a Natale avremo bisogno di personale e ti faremo sapere.
Pazienza. La ricerca continua.
E invece…

Terzo insegnamento
Mai perdere le speranze. Se avete dato tutto, avete dimostrato la vostra passione e avete trasmesso l’idea principale – e cioè che il sogno rimane lì pronto da realizzare, nessuno ve lo tocca e il rifiuto vi rende solamente più determinati- vi assicuro che qualcosa succederà. Mai perdere le speranze. Mai.

Continuo la passeggiata e, mentre mi trovo all’ufficio postale (dopo circa 15 minuti), il mio telefono suona.
“Ciao Giulia. Siamo quelli della libreria, ti andrebbe di tornare qui a bere un caffè con noi?”
Attraverso di corsa la strada guardando dalla parte sbagliata (clacson di sottofondo) e mi precipito nel negozio. Loro mi dicono che vogliono assolutamente che lavori con loro. Hanno letto il mio curriculum, hanno sentito il mio entusiasmo e il mio amore per i libri. E mi vogliono.
Non è un lavoro full time -aggiungono- ma questo è quello che possiamo offrirti al momento. Accetti?

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Terzo insegnamento

Se sentite di essere sulla strada giusta verso la realizzazione del vostro sogno, i passi che state facendo non sono MAI troppo piccoli. 

E poi posso prendere in prestito tutti i libri che voglio. Non è forse la migliore forma di ricompensa?

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Per le mie avventure con carte di credito e registratori di cassa, la mia prima vendita da 300 dollari, il mio scaffale di Halloween e gli strani personaggi che frequentano il negozio, vi rimando alla prossima puntata.
Se invece volete venire a trovarmi, la libreria si chiama “Book.Mark” e si trova qui:
Parkway Arcade, 46-54 Hurstmere Road, Takapuna, New Zealand

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