6. La tomba dimenticata

6. La tomba dimenticata

(Il capitolo precedente)

Vi sto imbrogliando. Questo titolo lascia presagire che io, alla fine, una tomba l’abbia trovata.
La verità è che , in teoria, io la tomba l’avrei anche individuata…il problema è che non c’era più.

Al Consolato avevo trovato il certificato di morte del mio bisnonno, avevo scoperto in quale ospedale era passato a miglior vita (senza, tuttavia, scoprire perché) e, fortunaccia sfacciata, avevo ricavato da un timbro sbiadito il nome dell’impresa funebre che si era occupata del suo funerale. E, ancora più fortunaccia, avevo controllato velocemente le pagine gialle di Berlino, scoprendo che era ancora aperta, dopo più di vent’anni! Certo, come si suol dire, a quelli lì il lavoro non manca mai.
Un colpaccio di fortuna dietro l’altro, non ci potevo credere!

A questo punto, non mi restava che telefonare chiedere a qualcuno di fare un paio di telefonate per scoprire finalmente in quale cimitero fosse stato sepolto il mio bisnonno, per potermi recare questa volta a colpo sicuro sulla sua tomba.
Non so come mai, ma mi sembrava che quello fosse il capitolo finale della storia. Sapevo che era morto, naturalmente, ma volevo vedere la tomba. Volevo fotografarla e spedire la “prova” alla nonna Leda e ai suoi fratelli.
Senza considerare, inoltre, che avrei potuto ricavare altre informazioni importanti: eventuali fiori freschi, ad esempio, avrebbero potuto suggerirmi la presenza di altri visitatori.
Già mi vedevo seduta su una panchina del cimitero ad aspettare il loro arrivo.

Tutto questo capitò un venerdì pomeriggio.
Per usufruire del mio prezioso aiuto tedescofono (Nadine, la mia collega che sa tutto di me compreso il codice della carta di credito perché è stata lei a telefonare alla banca) dovevo aspettare fino a lunedì.
Ma chi? Io? Ma siamo pazzi?

Dovevo agire subito, buttare sul piatto tutto quello che avevo e fare un primo tentativo.
Il giorno successivo, mi piacerebbe dire di buon’ora ma non sarebbe vero, mi recai di nuovo a Wittenau.
Volevo provare ad andare e spiegare DA SOLA la situazione ai signori delle pompe funebri. Facevo sul serio eh. Mi ero addirittura scritta un discorsetto.

2013-04-01 20.47.18

La solita stradona squallida, Wittenau non è esattamente il quartiere più ridente della città, e incastrata tra un kebabbaro e l’ennesimo condominio-casermone, ecco la vetrina raccapricciante dell’agenzia che si era occupata di “sistemare” il bisnonno.
Su un panno di velluto, erano state adagiati esempi di urne, lapidi e lumini perenni. Tutto scuro, tutto buio, tutto tremendamente lugubre e decorato con un paio di fiori finti sbiaditi dal sole. Mamma mia.
Già mi immaginavo l’interno del negozio come la perfetta riproduzione del salotto degli Addams e non vedevo l’ora di entrarci per dire la verità, e invece…era chiuso.
Sabato pomeriggio. Chiuso. Avrei dovuto pensarci prima.
Per non sprecare il lungo viaggio fatto per arrivare fino a lì, decisi comunque di andare un attimo alla casa del bisnonno. Senza motivo. Di nuovo controllai i campanelli, come se nel frattempo si fosse potuto materializzare un cognome familiare.
Niente, ovviamente.

Tutto rimandato al lunedì successivo.

Purtroppo, un’altra delusione era in attesa dietro l’angolo.
Guardavo Nadine con trepidazione mentre parlava al telefono con la signora delle pompe funebri. Nadine non era stata proprio felice di fare quella telefonata, ma pazienza. Porta fortuna, dai.

Certo che il mio bisnonno risultava tra i loro funerali. Certo che avevano scritto in quale cimitero era stato sepolto, lo fanno sempre, per tutti i loro…assistiti. Ma certo che poteva darci il nome, si trattava di attendere solo un attimo perché si trattava di una pratica vecchia.

Nadine completò l’opera. Telefonò anche al cimitero.

Certo che Herr Gasparrini era stato seppellito lì…purtroppo però si trattava di una tomba troppo vecchia per esistere ancora.

Come, non lo sapevate? In Germania i morti li “tirano su” dopo vent’anni.

E la storia del bisnonno si conclude qui…un pugno di mosche, direte voi.
Beh. Non sono d’accordo. In fin dei conti, sono l’unica della famiglia a conoscere davvero bene la sua storia.
Perché l’ho scritta io.