Berlino, 5 gennaio 1948
Illustrissimo Sig. Presidente,
perdonerà se mi permetto di scriverle certe cose che forse le daranno noia.
La mia sincerità, onestà, come italiano all’estero, corretto sotto ogni rapporto, sono le ragioni che mi portano a dichiarare quanto segue: quest’oggi alle ore 12 meridiane, mi inviai ai suoi rispettabili uffici per un semplice paio di scarpe, avendo estremo bisogno da due mesi e fui trattato come un pezzente senza alcuna ragione.
Tutti possono testimoniare la mia condizione, senza un vestito e senza un paio di scarpe.
Non faccio nessuna cattiva azione, lavoro 13 ore al giorno. Non faccio cose di cattivo carattere, sono onesto, galantuomo in tutto.
Mi fa meraviglia che in un Ufficio della Croce Rossa, rispettato internazionalmente, esista del personale che tratta il loro sangue peggio dei cani.
Come ripeto, io sono stato molto corretto, senza offese altrui, e per la mia sincerità mi permetto di rivolgere un sentito reclamo alla vostra presidenza.
Ora faccio il cameriere, credo di essere un galantuomo e sono degno Italiano.
Io sono un baritono, prima non avevo bisogno, ma ella sa bene, ora siamo in cattive condizioni e tutti abbiamo bisogno.
Io penso per me stesso, non faccio propaganda, giunto a casa mi affretto a scriverle perché possa essere buono e cortese di farmi avere ciò che chiedo.
Mi vergogno, arrossisco a pensare di entrare in un ufficio da degno Italiano e di non essere nemmeno ascoltato.
Non siamo nel tempo del Fascismo, quando noi NON fascisti ci gettarono fuori. Ora siamo in una nuova era di fratellanza.
Perdoni ciò che scrivo, ma scrivo per avere almeno la riconoscenza d’aver ragione.Ringrazio anticipatamente scusandomi di ciò.
Auguri, felicitazioni di buona salute per il Capo d’Anno.
Distinti saluti. In fede, mi creda.M.G.
Berlin 65
***straße 10.
Berlino, 12 gennaio 1948Italian Red Cross
Area Team nr.1
US Headquarters
Berlin CommandNon ci sono scarpe della sua misura. Le consigliamo di scrivere una lettera, dichiarando la sua assoluta necessità.
I primi aiuti vanno a bisognosi, malati, vecchi, bambini.
Mi trovavo al Consolato Italiano di Berlino e non potevo credere a quello che avevo davanti.
Il gentile impiegato a cui era stato affidato il caso, tanto paziente con me al telefono e via mail, che aveva effettuato le prime ricerche e che ora mi aveva dato il permesso di accedere ai documenti riservati conservati dal Ministero degli Esteri, mi aveva anticipato “Guardi, Signorina, glielo dico già: si tratta di vecchie carte e pochi anni fa è stata fatta pulizia: è probabile che non sia rimasto niente”.
Quando mi aveva accolto all’entrata del Consolato, invece, sfoggiava uno strano sorriso di soddisfazione che non era riuscito a nascondere nemmeno mentre mi illustrava le meraviglie architettoniche dell’edificio consolare, bombardato e ricostruito in modo da evidenziare i danni subiti nel corso della guerra.
Mi aveva accompagnato ad una scrivania che era stata preparata appositamente per me e per le mie ricerche e mi aveva detto: “Buone notizie: non so spiegargliene la ragione, ma il fascicolo del suo bisnonno è scampato alla distruzione…ed è anche abbastanza corposo”
Appoggiata al piano di cuoio della scrivania, mi aspettava una cartellina verde che si era addirittura sfondata perché troppo piena.
Accarezzavo il dorso di quel fascicolo che recava il nome del mio bisnonno scritto con calligrafia di altri tempi, e già sentivo la polvere di quasi settant’anni che mi irritava le dita e mi faceva prudere il naso.
Adoro le fotografie in bianco e nero, i documenti con gli angoli consumati, la puzza delle carte rimaste per mezzo secolo ad aspettare, le lettere scritte a mano, i timbri e le macchie di inchiostro: ecco perché di fronte a quella pila alta due spanne, mi sembrava di aver appena ricevuto un meraviglioso regalo.
“Mi raccomando: è vietato fare fotografie o fotocopie. Se vuole, deve ricopiare tutto a mano”
La voce dell’impiegato mi fece ritornare alla realtà: non avevo moltissimo tempo e ora che avevo saputo che avrei dovuto decifrare sul posto scritte piene di riccioli e svolazzi e scriverle immediatamente, ne avevo ancora meno.
Decisi di adottare questa tecnica: ricopiare senza pensare, per poi cercare di rimettere ordine una volta arrivata a casa.
Se avessi avuto anche una minima idea del contenuto, non sarei stata così ottimista.
Il fascicolo del mio bisnonno era pieno di lettere commoventi, artefatte e disperate, sulla scia di quella riportata qui sopra, lettere che lui scrisse durante tutto il suo soggiorno tedesco, fino a pochi anni prima della sua morte avvenuta nel 1990.
Perché? Perché scappare dalla miseria dell’Italia per arrivare in Germania e vivere ancora peggio? Questo, ve lo anticipo, rimarrà un mistero.
Proprio mentre leggevo l’ennesima richiesta di aiuto e denaro rivolta a “Sua Eccellenza il Console Generale”, un documento color carta da zucchero attirò la mia attenzione.
Berlin 12.12.1945
Stamdesamt Berlin-WeddingDer sänger M.A.G. wonhaft in Berlin **straße 11, geboren am **/09/1904
und
H.E.B. geborene M., geboren **/05/1909 in Berlin
…..
Anche senza chiedere la pronta traduzione del gentile impiegato, avevo capito.
Certo, il bisnonno si era risposato in Germania senza disturbarsi a divorziare dalla bisnonna con la quale aveva contratto matrimonio nel 1924 a Burano. Quello che avevo in mano era chiaramente il famoso atto di matrimonio, a causa del quale lui era stato accusato di bigamia e condannato a scontare un periodo di prigione.
Tutti conoscevano questa storia e tutti ricordavano la povera bisnonna che, credendo morto il marito – dato che non si faceva sentire dal 1938 – veniva chiamata a testimoniare la bigamia. Della serie: “Ho una notizia buona e una cattiva”.
No. Un attimo.
Qualcosa non tornava.
Tutti conoscevano la storia della seconda moglie e tutti affermavano con sicurezza che fosse nata a Londra. Se ne ricordavano perché l’avevano conosciuta negli anni ’70, quando lui si era deciso – dopo 40 anni – a far visita in Italia ai suoi figli.
Questa H.E., invece, era nata a Berlino e un sacco di date non tornavano.
Prima di tutto il bisnonno non era nato nel 1904 ma nel 1898 (e tra l’altro non si chiamava A. di secondo nome).
In secondo luogo, come mai tutti ricordavano di questa moglie inglese e si ricordavano di un matrimonio avvenuto negli anni ’60… ma non avevano pensato di confrontare le date?
La bisnonna era morta nel 1957. Il secondo matrimonio era, appunto, avvenuto negli anni ’60 (il **/5/1960, come mi dissero altri documenti che avevo scoperto dopo).
Perché mai condannare un vedovo per bigamia?
Per un paio di minuti, la mia testa rimase vuota, sebbene la soluzione fosse palese e scritta nero su bianco.
Era facile.
Il bisnonno si era sposato due volte.
La prima, nel 1945, con questa H. che mi guardava con le sue labbra vermiglie dalla fototessera allegata all’atto di matrimonio.
La seconda, nel 1960, con M.S. nata a Londra nel 1913.
Il fitto scambio di missive tra il Consolato Generale d’Italia a Francoforte sul Meno e il Comune di San Donà di Piave, avvenuto nel 1950 (ben 5 anni dopo il matrimonio!), dimostrava la mia supposizione: si richiedeva il certificato di matrimonio ancora valido e soprattutto il certificato di “esistenza in vita” della moglie italiana.
Era del 1951, invece, la sentenza con cui Marino (questa volta di professione “kellner”, cameriere) veniva condannato – dopo sua stessa ammissione di colpa – alla pena di 6 mesi con attenuanti, a causa della situazione sfavorevole – la guerra – al momento del fatto.
Infine, dopo una richiesta di “stato libero”, il 10 maggio del 1960 il bisnonno. si sposava con la famosa moglie inglese di cui tutti si ricordavano, una moglie che aveva una figlia di nome C. nata da un precedente matrimonio ma che non aveva avuto figli con il mio bisnonno.
C’era un altro nome da sistemare, quello di un certo H, un fantomatico figliastro conosciuto da uno dei figli legittimi del bisnonno, un personaggio di cui non riuscii a trovare alcuna traccia nella documentazione.
Di chi era figlio questo H?
Ipotizzando che fosse della prima moglie (era nato attorno al 1950), che cognome portava?
E soprattutto, era rintracciabile?
Il consolato stava per chiudere e mi rimaneva ancora mezzo fascicolo. Scattai un paio di foto di straforo e continuai a leggere.
(il capitolo successivo)