Adoro la festa dei morti prima di tutto perché è macabra e paurosa e mi fa venire in mente bei ricordi.
Alle elementari, la maestra ci aveva raccontato la leggenda della festa dei morti: la notte fatidica (questa notte), gli spiriti dei fantasmi si sarebbero risvegliati e sarebbero andati in processione in giro per la città a “punire” chi non si ricordava di loro.
Ora, a parte il trauma infantile, quando la maestra ci chiese – come da copione – di illustrare il tutto con un disegno, io disegnai un gruppo di morti viventi orribili con pezzi, arti e mani che cadevano a terra, fantasmi spaventosi e cattivissimi, e le persone vive che si nascondevano in casa e dietro gli alberi ad osservare con terrore questa scena raccapricciante.
Ricordo che la maestra mi mandò in giro per le classi a mostrare il mio disegno così simpatico.
Probabilmente oggi verrei segnalata a qualche psicologo.
Ora, quando io ero piccola di certo non si festeggiava Halloween, al massimo si studiava l’evento con la maestra di inglese che ci faceva disegnare le zucche e ci faceva imparare la filastrocca “trick or treat”. Finiva lì.
La vera festa era quella così macabra ed eccitante di cui parlavo all’inizio: il giorno dei morti, o più semplicemente I MORTI.
Cosa si faceva il primo novembre (e presumo si faccia ancora)? Si andava in cimitero.
Voi sapete che adoro i cimiteri, mi sono sempre piaciuti, quindi per me era si trattava di un pomeriggio stupendo e divertente.
Mentre camminavo per i viali affollatissimi di gente viva, immaginavo – al contrario della leggenda che ci aveva raccontato la maestra – che gli spiriti dei morti camminassero tra le persone, visibilissimi e insospettabili.
Il mio passatempo preferito, quindi, (oltre a leggere le lapidi vecchie a guardare le foto e a cercare defunti diciamo insoliti: famosi, giovani, bambine, suore…) era cercare di capire quali fossero i fantasmi: mi fissavo su quelli particolarmente pallidi, sulle persone sole e su quelle che apparentemente giravano senza meta e semplicemente osservavano i passanti.
Al termine del pomeriggio, tappa fissa era a casa della nonna Isetta, che preparava la patata americana e, occasionalmente, il vin brulè.
La festa dei morti mi piaceva, mi è sempre piaciuta perché era un giorno naturalmente malinconico ma anche interessante e istruttivo.